mercoledì 8 dicembre 2010

Tchmil VS Menchov: la disputa continua - da ItalNews

In occasione del primo raduno stagionale della Geox TMC, Denis Menchov ha dichiarato pubblicamente la sua delusione per non essere il capitano dell’unico team russo pro Tour, la formazione Katusha. L’ex vincitore del Giro d’Italia incolpa il team manager Andrei Tchmil ammettendo: «Probabilmente non correrò mai nel team russo, fin quando ci sarà Tchmil sarà davvero difficile. ItalNews 
Il suo comportamento nei miei confronti non è stato dei migliori: penso che mi sarei meritato un trattamento diverso, perché la squadra è russa , il progetto è russo e io pure. Non dovevo essere trattato come un corridore qualsiasi. Io non so che idee abbia Tchmil, ma vedo come si sono comportati in Kazakhstan con Vinokourov, in Gran Bretagna con Wiggins o in Lussemburgo con gli Schleck. Ed è questo che a me è sempre sembrato strano. Io penso che in Spagna ci siano dieci corridori che possono puntare ad un grande giro, in Russia non mi sembra che ce ne siano altrettanti».
Alla dura dichiarazione di Menchov, Andrei Tchmil non ha esitato a dare una fin troppo lunga risposta, ecco la sua replica rilasciata quest’oggi: «In riferimento alle dichiarazioni rilasciate da Denis Menchov ad un sito spagnolo e riprese poi da altri organi di stampa, mi trovo costretto a precisare alcuni concetti. In primis, dubito che una persona intelligente come il corridore in questione possa aver espresso determinati concetti senza nessuna spinta, anche perché gli ho prestato la massima attenzione come corridore, sono andato a Barcellona per parlare personalmente con lui, e come uomo, infatti gli ho inviato un telegramma di congratulazioni dopo il suo podio al Tour de France, corsa durante la quale ho preferito non disturbarlo, come da accordi con il suo procuratore, per lasciarlo concentrato sull’obiettivo. Ma se per “essere trattato meglio” si allude a più soldi, allora, da quello che mi risulta, devo dire che la base di partenza sulla quale stavamo discutendo era ben superiore all’attuale ingaggio percepito alla Geox-TMC e sono convinto che l’intesa l’avremmo trovata. E non perché è un corridore russo, ma bensì perché credo nel suo valore. Non penso sia giusto usare questa discriminante quando sei a capo di un progetto importante come il nostro. Detto questo, io lavoro per il bene supremo della squadra, con un obiettivo che non è solo agonistico, ma anche sociale. Denis Menchov sarebbe stato il benvenuto, ma nonostante la promessa del suo procuratore di riparlarne dopo il Tour de France, e ancora, dopo il nostro appuntamento di Barcellona, non ho più sentito nessuno. Mentre aspettavo un incontro e stavo esaminando una bozza di proposta che ci aveva inviato il suo manager, sulla quale non abbiamo avuto neppure il tempo tecnico per riflettere, mi sono ritrovato pochi giorni dopo sui giornali il comunicato ufficiale Geox sull’accordo. Allora ho capito che probabilmente, dietro a questa trattativa, c´erano altri interessi e magari che Denis Menchov stesso non ne fosse a piena conoscenza. Non era una questione di soldi né di considerazione perché, diversamente, sarei almeno stato contattato per intavolare una trattativa. Noi abbiamo sempre mostrato interesse verso il corridore fin dal nostro debutto nel mondo dei professionisti. Ma, come detto, noi abbiamo lavorato perseguendo un progetto di crescita globale. L’obiettivo, al di là del gruppo dei corridori, era costruire una struttura all’altezza dell’ambizione del nostro progetto e, nonostante qualche problema di gioventù, pensiamo di esserci riusciti. All’inizio volevano giustamente vedere cosa saremmo stati in grado di fare e lo stesso Denis Menchov, dopo il nostro primo contatto nel 2008, chiedeva garanzie sull’eventuale partecipazione alle corse a cui puntava, Tour de France prima di tutto. Osservazione giusta per un corridore di quel calibro. Ora la struttura è più solida ed esperta e, come certifica la classifica Uci (al tempo della trattativa eravamo addirittura al secondo posto), siamo al livello dei migliori top-team del mondo. Certo, da noi c’è disciplina, non lo nego. Pretendiamo di vederci chiaro, su tutto, e per questo ci siamo affidati al centro Mapei ed abbiamo fatto firmare a tutti i nostri tesserati una penale contrattuale che prevede il pagamento alla squadra di cinque volte il compenso pattuito se ritenuti colpevoli di pratiche dopanti. A molti procuratori questo non piace, ma chi vuole fare parte di questo gruppo deve accettarlo e la regola vale per tutti: russi, italiani, francesi, spagnoli ecc. Io penso che negli anni, soprattutto nel mondo dello sport, si sia smarrito il senso della disciplina in tutte le sue forme. Quella che c´era ai miei tempi. Noi alla Katusha la pretendiamo e i capricci non li accettiamo: sia che vengano dai corridori che dai loro procuratori o dai nostri stessi dirigenti. Occorre accettare il clima aziendale e adeguarsi per cercare di fare crescere e sviluppare, al di là delle ambizioni individuali, il nostro progetto. Se queste sono le mie colpe allora sono orgogliosamente colpevole. In definitiva, non credo che la questione meriti tutta questa attenzione. La Katusha ha i suoi programmi, la Geox pure. Dunque, auguro a Denis Menchov una stagione ricca di successi e posso aggiungere – visto che nutro stima nei suoi confronti – che finchè sarà gestito in questa maniera non ci sarà spazio per lui in un progetto come il nostro. Spero che Denis Menchov rifletta su questo».
A rincarare ancora la dose, come se non bastasse, è il general manager Katusha, Pierumberto Zani il quale «sottolinea che Katusha è stata l’unica squadra ad appoggiarsi al centro Mapei del Prof.Sassi nel 2010 ed ha adottato scelte forti e a volte anche contro corrente, spesso criticate, come la clausola del 5 a 1, dove Katusha si riserva di chiedere la penale, pari a 5 volte il contratto, nel caso un corridore avesso colpe gravi in una ipotetica positività (nessun contratto moltiplicato per 5 potrebbe risarcire 160 persone), oppure la scelta di chiudere la porta a corridori con precedenti di positività e ora in cerca di “riabilitazione” o ancora il licenziamento per atleti indisciplinati, o il considerare gli atleti tutti uguali che siano Russi, Spagnoli, Australiani o Italiani, che si chiamino Menchov, Petrov, Pozzato, McEwen o Mironov».
Se sia solamente una disputa tra innamorati lo rivelerà il futuro, di sicuro analizzando le parole uscite dal team Katusha non si può fare a meno di notare qualche dubbio sul russo, dubbi che probabilmente partono proprio da quel Giro d’Italia vinto da Menchov davanti a Di Luca, poi scoperto positivo al C.e.r.a.. Ombre che probabilmente non verranno mai schiartite, purtroppo il laboratorio austriaco Humanplasma non ha ancora imparato a parlare.


di Antonio Massariolo


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